Lago Titicaca – Taquile

lago Titicaca

Sul lago Titicaca il nostro itinerario prevedeva la permanenza di una notte sull’isola di Taquile, ospiti di una famiglia locale.

Preparato uno zaino con il necessario abbiamo lasciato le valigie nel deposito dell’hotel.

Alle 8:00 con un taxi (6 sol) eravamo già al molo di Puno sul lago Titicaca, per salire sull’imbarcazione che ci avrebbe portato a Taquile facendo una tappa intermedia nelle isole degli Uros.

Sulla barca c’erano parecchi turisti seduti nelle loro poltrone sotto coperta mentre fuori (a poppa) c’erano alcune donne con le loro gonne spesse a vari strati e vari colori, il mantello nero che usavano come copricapo e tanti pacchi enormi.

Il comandante della “nave” era un giovane accompagnato dalla moglie (anche lei con la gonna a strati di vari colori e il mantello nero), e da altri uomini vestiti tutti uguali con pantaloni neri camicia bianca, gilet nero e una fascia alta e colorata sulla pancia.

Isole degli Uros

Gli uomini del Lago Titicaca si distinguevano (a parte l’età) dal colore del cappello che, come ci hanno detto, ha un colore diverso in base alla classe sociale, o se è sposato, o se fa parte dell’amministrazione locale e così via.

La cosa in comune, invece, era che tutti avevano i capelli lisci e nerissimi (anche le persone più anziane) e solamente gli uomini avevano una borsetta rettangolare da dove tiravano fuori le foglie di coca e se le scambiavano per poi masticarle in continuazione!

La giornata era un po’ nuvolosa e faceva decisamente freddo a più di 3800 m s.l.m.

Dopo circa mezz’ora di lenta navigazione tra le canne di “totora” (una specie di canna che nasce e cresce direttamente nel lago Titicaca), siamo arrivate alla “dogana degli Uros”, una piattaforma di totora (simile al fieno) con una torretta impiantata al centro con un cartello di benvenuto “Kamisaraki”.

Per accedere nel loro territorio il comandante ha pagato l’ingresso e siamo arrivate, così, alle isole degli Uros nel Tawantinsuyo (Impero Inca).

isole uros

La nostra imbarcazione ha attraccato su un’isola di totora con 4 o 5 case (sempre fatte con questa pianta) e un grande condor impagliato con la totora, al centro.

Alcune donne con le loro gonne multicolore ci hanno dato il benvenuto cantando e poi ci hanno aiutato a scendere.

Il presidente delle isole degli Uros (un conglomerato di circa 60 isole) ci ha radunato al centro dell’isola e ci ha illustrato come sono fatte queste isole galleggianti: una base di circa tre metri che viene rinnovata ogni anno posando sulla superficie nuove piante di totora.

Questa base di tre metri dell’isola viene ancorata al fondo del lago Titicaca che dista circa 15 metri. Si chiamano galleggianti proprio perché ondeggiano seguendo l’alta o bassa marea del lago e perché possono essere spostate da un luogo ad un altro a seconda delle necessità.

Gli Uros del lago Titicaca, sono i discendenti degli Aymara, una popolazione che si dedicava e, si dedica ancora oggi, alla pesca e all’artigianato tessile e di totora. Tutto qui è fatto con la totora, le case, le torri, i vari simboli di ogni isola e anche le imbarcazioni a remi tipiche degli Uros.

donna uro

Dopo le spiegazioni e dopo aver girato per le case dove erano esposti i loro manufatti per la vendita, ci hanno invitato a salire su una di queste grandi barche di totora dipinte di giallo e con una torre con posti a sedere che abbiamo occupato. Una specie di catamarano con una “cabina” tipo indiana.

Il presidente e un altro Uro si sono messi ai remi e ci hanno traghettato su un’isola di fronte, più grande e dove si trova l’ufficio postale. Siamo scese e abbiamo fatto mettere il timbro del lago Titicaca sul nostro passaporto.

girandolando

L’imbarcazione con la quale avevamo iniziato il viaggio da Puno ci aveva seguite e, dopo la passeggiata su quest’ultima isola, ci siamo di nuovo imbarcate e siamo ripartite.

Lasciate le isole galleggianti ci siamo addentrate all’interno del lago Titicaca per raggiungere la nostra destinazione finale: Taquile.

Il lago Titicaca è enorme occupa 8.372 km quadrati, dei quali più della metà appartengono al Perù e il resto alla Bolivia.

È il lago navigabile più alto del mondo e le sue acque sono di un azzurro intenso e luminoso tanto da riflettere le montagne della Bolivia.

realizzazione in pietra

Siamo arrivate nell’isola di Taquile verso le 11:00.

Quando siamo scese ci siamo accorte che la persona che ci avrebbe ospitato era con noi sulla barca da Puno e ci ha accompagnato nelle nostre soste fino ad accoglierci e darci il benvenuto a Taquile.

A Taquile non ci sono auto e non c’è corrente elettrica quindi non si vedono tralicci e cavi.

Tutte le case hanno pannelli solari sui tetti per i loro fabbisogni.

El Señor Felipe, un uomo di 72 anni piccolo e magro con i suoi abiti tradizionali (in realtà sono gli abiti che indossano abitualmente) e sandali ai piedi ci ha fatto strada lungo un sentiero in pietra e in salita, fino ad arrivare a casa sua. Sembrava di non arrivare mai!

panorama lago titicaca

Eravamo a circa 4000m s.l.m. e seguire il passo di Felipe è stata un’impresa, senza contare che l’uomo aveva un carico di 60 kg (a detta sua) sulle spalle, fatto con una coperta legata con un nodo al petto, al cui interno non so bene cosa c’era ma, sicuramente, era un involucro voluminoso.

Qui ci siamo rese conto che l’altitudine si faceva sentire quando dovevamo fare lunghi percorsi e soprattutto in salita.

Finalmente, dopo una quarantina di minuti, siamo arrivate a casa di Felipe. Dalla strada si entrava in un cancelletto di legno e quindi nel cortile sterrato. La casa era a forma di “L” di due piani: nel lato lungo al pian terreno c’erano delle porte chiuse e non abbiamo visto se erano altre camere per ospiti; nel lato corto, invece, c’era la “camera da pranzo” con un lungo tavolo e sedie di legno.

Ci hanno dato le camere al piano superiore e il tempo di sistemarci e poi scendere a pranzare con loro.

La nostra camera era spaziosa con un letto matrimoniale attaccato al muro sotto una finestra che dava sulla strada. Avevamo il bagno! Lo dico perché non avevamo la certezza che avessimo potuto avere il bagno in camera dato che in quest’isola i bagni generalmente sono all’esterno.

Il bagno: 1 metro per 1 con il water e un minuscolo lavandino, un cestino per gettare la carta igienica usata e le pareti che arrivavano a un metro dal tetto confinanti con la camera attigua, fortunatamente di Anna e Marina!

Insomma, diciamo che abbiamo immaginato di stare nel periodo del dopoguerra, pur non avendolo mai vissuto.

Ci siamo sistemate tra una risata e l’altra, chiacchierando tra le due stanze con la porta del bagno aperta e poi siamo scese a pranzare con Felipe e famiglia.

Ci hanno fatto accomodare e il padrone di casa ci ha raccontato che in questa casa ci vive lui con le figlie, i generi e le nipoti, il fratello con la moglie e i loro figli… una famiglia allargata! Infatti ogni tanto entrava qualcuno, ci salutava e usciva dalla sala.

Il pranzo che ci hanno preparato è stato molto buono: una squisita zuppa di quinoa, un piatto con una trota  pescata nel lago Titicaca (enorme e buonissima), riso e patatine fritte e da bere acqua o “mate” (infuso) a scelta.

Nel frattempo don Felipe ha cercato di raccontarci la storia di Taquile nel suo spagnolo/quechua e non so bene se addirittura aymara, e non è stato molto facile da capire.

A Taquile, sul lago Titicaca, la lingua principale (e per molti l’unica) è il Quechua.

Solo da pochi anni è diventato obbligatorio studiare lo spagnolo a scuola e Felipe aveva imparato un po’ di spagnolo grazie al turismo e alle nipotine che studiano.

A pranzo si è unita anche Veerle, una ragazza belga molto simpatica, che stava facendo il giro dell’America del Sud ed era appena arrivata nell’isola.

Dopo aver pranzato Felipe ci ha invitato a fare una passeggiata per l’isola e tutte e cinque, Veerle compresa, abbiamo subito accettato e siamo partite seguendo Felipe ma soprattutto cercando di stare al suo passo!

Abbiamo proseguito per il sentiero da dove eravamo arrivate con la barca e siamo salite fino al punto più alto dell’isola a più di 4100m s.l.m.

passeggiata a Taquile

Il sentiero serpeggiava intorno alla collina passando tra coltivazioni in terrazzamenti di quinoa (prodotto principale dell’isola), patate e fave.

Ogni tanto passavamo sotto a degli archi fatti con le pietre una sopra all’altra (come i muretti a secco) e ai lati dell’arco statuette di pietra raffiguranti un uomo con il cappello oppure dei simboli probabilmente pre-inka.

E’ stato faticoso arrivare in cima alla “collina” dell’isola, ma il panorama che si vedeva da lì ha compensato ogni fatica. Eravamo in mezzo al lago Titicaca illuminato dal sole che rifletteva nelle sue acque azzurre e trasparenti. Da un lato si vedevano le montagne innevate delle Ande boliviane, vicino a Taquile c’era l’isola di Amantani e in fondo la costa con Puno. Una vista meravigliosa!

Ci trovavamo in mezzo a ruderi pre-inka dove il señor Felipe ci ha raccontato (a modo suo) la storia dell’isola.

Anticamente l’isola i Taquile si chiamava Intika

e faceva parte dell’impero incaico, come si evince dalle numerose rovine archeologiche ancora oggi visitabili.

Fu l’ultima località ad essere conquistata dagli spagnoli nel XVI secolo i quali proibirono l’uso e i costumi incaici tradizionali e, da allora, gli isolani indossano i tipici costumi “campesini”.

Ci trovavamo in una piccola piazza circolare fatta da muretti a secco con entrate ad arco.

Il senor Felipe ci ha spiegato che questo era il centro spirituale pre-inka e poi inka dove si tenevano riti per la “Pachamama” (la terra) e dove tutt’ora si incontrano i Taquileñi a Pasqua per ringraziare la “Pachamama” con offerte (generalmente il rituale consiste nell’offrire le foglie di coca alla terra).

La storia di Taquile risale all’epoca pre-incaica le cui testimonianze sono le “chullpas”, le abitazioni costruite in pietra a secco.

Nell’isola ci sono 5 rovine con costruzioni pre-incaiche: Mulsinapata, Cruzpata, Quanopata, Quinuapata e Pukarapata.

I Taquileñi si considerano “puri” perché discendenti diretti degli inka.

Nell’isola vivono circa 2200 persone raggruppate in 270 famiglie. La società è basata sul lavoro collettivo seguendo il codice morale Inka: non rubare, non mentire e non essere ozioso (Ama sua, ama llulla, ama quella). Le attività principali sono la pesca, l’agricoltura e adesso anche il turismo.

Abbiamo così ripreso la via del ritorno passando per il centro urbano dell’isola del lago Titicaca, la piazza principale.

isola di Taquile

Forse perché era tardi ma il centro era vuoto! Non c’era nessuno, case chiuse e solo un negozietto aperto con alcuni bambini che giocavano vicino alle gonne della mamma che stava facendo la spesa.

Alla fine dell’escursione siamo rientrate stanche ma contente. Abbiamo cenato con una zuppa di mais e patate, stufato di verdure accompagnate dal solito riso in bianco.

Prima di andare a dormire sono rimasta fuori con il señor Felipe a fotografare quel cielo nero coperto da un tappeto di stelle! Una serata bellissima! Ma poi è arrivato il freddo e sono andata a dormire.

In realtà per visitare Taquile basta una giornata.

Il giorno successivo, per ammazzare il tempo, abbiamo fatto un’altra passeggiata e al rientro a casa abbiamo trovato quattro donne che avevano allestito un piccolo mercato con le loro realizzazioni tessili.

Abbiamo comprato tutte un braccialetto di cotone con i disegni tipici dell’isola, fatto a mano nel frattempo Veerle e Marina hanno indossato i costumi “campesini” e tra risate e fotografie abbiamo ringraziato la famiglia per l’ospitalità e siamo tornate all’imbarcadero per prendere il traghetto che ci ha riportato a Puno.

Alle 17:00 eravamo al porto di Puno.

Lasciato alle nostre spalle il lago Titicaca abbiamo preso un taxi (sempre 6 soles) e ci siamo fatte accompagnare al nostro albergo (Tierra Viva). Ci avevano cambiato la camera, ma era comunque comoda e dopo una bella doccia (cosa impossibile da fare a Taquile) siamo uscite.

Abbiamo fatto un giro al centro di Puno e abbiamo incontrato una manifestazione tra le vie commerciali, con la banda e molte persone mascherate. Non abbiamo però capito di che festa si trattava.

La cattedrale si trova sulla plaza de Armas ma era chiusa perché era tardi e il resto del centro non sembrava molto interessante ma forse era per il poco tempo a disposizione.

Dopo la passeggiata per le vie centrali e, prima di andare a dormire in hotel, ci siamo fermate a cenare al ristorante Majas che consiglio vivamente anche se abbiamo speso un pochino di più del solito perché questa volta abbiamo preso anche il vino.

L’indomani l’itinerario prevedeva la partenza per Cuzco.

Sconsigliato

Stare più di una giornata a Taquile, non è necessario

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